Quale simbolo per l’Italia, in questo 2 giugno?
Buona Festa della Repubblica! Ha quasi ottant’anni e li dimostra. Quando nel 1946, il popolo italiano la scelse con il referendum istituzionale, cancellando la monarchia, scelse il futuro. Era appena finita la guerra, era caduto il fascismo, per la prima volta votavano le donne e il volto sorridente e pulito di una ragazza, che irrompeva dalla prima pagina di un quotidiano, dunque nel segno della libertà dell’informazione e dei diritti di tutti, a cominciare dalle donne, ne diventava il simbolo. Quale simbolo possiamo scegliere oggi? Dobbiamo ragionarci: subito, non viene in mente.
Possiamo farci aiutare dalla Costituzione, la bellissima carta dei principi fondamentali della Repubblica, approvata dai padri (535) e dalle madri costituenti (21), dopo 18 mesi di lavori. La percentuale femminile allora era del 5%, salita poi al 33%, lontana tuttavia dalla parità in Italia, come in molti altri Paesi europei e non. Una parità, che avrebbe di sicuro un peso sulla società. Sovviene una bellissima pubblicità di alcuni anni addietro, che recitava: «Tutti pari. Tutti diversi». Nell’immagine c’era l’umanità intera, nei colori, nelle età, nei generi e tutti avevano la stessa altezza, perché sotto i piedi di ciascuno erano stati messi dei libri. Libri, disposti l’uno sull’altro, dove i più bassi ne avevano di più e quelli più alti di meno. Era la cultura, che rendeva tutti pari e tutti diversi.
La cultura e la ricerca scientifica sono previsti tra i principi fondamentali della nostra Repubblica, che è investita della responsabilità di «promuoverne lo sviluppo». (Art. 9 Cost.) Sappiamo in quali condizioni versi oggi la scuola italiana, sembra inarrestabile la cosiddetta «fuga dei cervelli» all’università, ma forse non è altrettanto noto che il CNR, l’ente scientifico italiano di maggior prestigio, al momento è alla deriva e perde quasi tre milioni al giorno. I vertici sono scaduti, i fondi bloccati, il lavoro di ricerca fermo, in stallo le collaborazioni internazionali, così come le prestazioni a contratto, la credibilità a rischio. È una scelta politica o l’ennesimo esempio di approssimazione all’italiana, nel vuoto di iniziativa del ministero competente? Si paventa però la possibilità di un nuovo modello di governance, che renda più forte il controllo politico.
Negli Stati Uniti, le più autorevoli università americane, a cominciare da Harvard, stanno subendo un attacco senza precedenti da parte dell’amministrazione Trump. Il presidente usa le leve della denigrazione, le minacce, il ricatto dei contributi statali, l’accessibilità negata agli studenti stranieri, come dei professori a contratto, per intaccarne l’autonomia. Sarebbe tra i peggiori dei contagi, se accadesse anche in Italia. Serve vigilare.
«La Repubblica italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». (Art.4, Cost.) Nella nostra Repubblica fondata sul lavoro (Art.1, Cost.), vengono subito in mente le vittime del lavoro. Quello che non c’è o funziona male (Panetta: scarsa competitività, salari bassi, troppe donne escluse), che non ci sarà (ancora il presidente della Banca d’Italia: 5 milioni di lavoratori in meno arrivando al 2025) o che perdono la vita sul lavoro. I dati INAIL, con riferimento solo al primo trimestre 2025, registrano un aumento quasi del 10 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: 210 vittime. Le cause, le solite: mancanza di sicurezza e controlli, precariato, infiltrazioni mafiose, ecc. Eppure, a cominciare da queste ultime, proprio il recente decreto del governo, che introduce modifiche al codice degli appalti pubblici, al centro di polemiche dopo i rilievi del Quirinale, ha provato a facilitarne il percorso.
E il decreto sicurezza, che non svuota, ma riempie ulteriormente le carceri italiane già sovraffollate, aumentando i reati e le pene, senza considerare la possibilità di misure alternative? (Art. 27, Cost. terzo comma) «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Agli inizi di maggio, avevano manifestato gli avvocati penalisti di tutt’Italia, ora la protesta si è spostata in Parlamento, con il sì, intanto della Camera, grazie ai numeri della maggioranza di governo, e nelle piazze. Il decreto sicurezza è passato al Senato e andrà avanti.
Gli Artt. 10 e 11 si occupano dei diritti internazionali, di quelli degli stranieri e del ripudio della guerra. C’è scritto che l’Italia «si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» e stabilisce che «lo straniero… ha diritto d’asilo…». Come si fa a non rispettare affatto le decisioni della Corte penale internazionale, istituita proprio dallo Statuto firmato a Roma nel luglio del 1998? Non c’è solo il caso Almasri (il carnefice di migranti, rimpatriato il Libia da un nostro aereo di Stato) a dimostrarlo, ma le pronunce sui crimini di Gaza e gli ordini di arresto internazionali al momento disattesi. Dopo venti mesi di bombardamenti, ordinati dal goveno Netanyahu, che hanno portato al massacro di civili, alla deportazione interna dei palestinesi, alla Cisgiordania occupata da nuove colonie israeliane, si sentono finalmente le voci di condanna, anche da parte del governo italiano, nel vuoto però di ipotesi concrete di soluzioni per il futuro della Palestina.
Nella storia del nostro Paese, che guardava al Medioriente, di attenzione ce n’era stata ben altra.
E la gestione dei migranti? Sono oramai gli ultimi per definizione, l’umanità più vulnerabile, i cui diritti fondamentali sono disattesi, sostituiti dagli slogan. A proposito della guerra - sembra perfino che se ne stia facendo l’abitudine, nel clima di conflitto nazionale, favorito da parole armate, senza cercare soluzioni ai problemi di una società disorientata e incattivita - ancora una volta la Costituzione soccorre: «L’Italia… consente… alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Un sì all’Europa - e non solo - prima che nascesse.
Torniamo allora alla domanda iniziale: quale simbolo per l’Italia, in questo 2 giugno? Passo. La scelta fatela voi.
Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 2 giugno 2025