La fine annunciata della storia Trump/Musk non cancellerà il sodalizio: quando contano i soldi e non i sentimenti ci si accorda. In meno di cento giorni, la coppia dell’anno, in crisi di consenso, è scoppiata. Lo ha confermato Trump.
Il senso dell’effimero, in questo tempo di transizione, esteso dai comportamenti personali e sociali alle dimensioni macro dell’economia e della politica, fino ai teatri di guerra, ci rende insicuri, ma anche consapevoli, da questa parte dell’oceano, della necessità di una presa di coscienza per continuare a costruire il futuro.
«La strana coppia», che tuttavia non ci ha divertito, come nell’esilarante commedia scritta da Neil Simon negli anni ‘60, al cinema con Jack Lemmon e Walter Matthau, ha monopolizzato la cronaca mondiale appena per un semestre. Ora, l’attenzione è tutta sugli scenari inquietanti, provocati dal nuovo modello planetario imposto dall’amministrazione americana, che chiede all’Europa e al resto del mondo scelte oculate per scongiurare il caos sui mercati e le minacce alle relazioni internazionali e alla pace.
Certo, tutti conoscevamo Donald Trump, già saturi del suo primo mandato presidenziale e delle sue vicende processuali; come abbiamo imparato a conoscere il super plutocrate visionario Elon Musk, padrone di tecnologie terrestri e stellari, nonché protagonista di interferenze politiche inaudite di segno fascista a diverse latitudini. Era facile prevedere una coabitazione spigolosa e probabilmente a termine (non così a breve termine), la somma delle due personalità poteva segnare un tempo eccezionale per loro, nel presupposto della reciproca convenienza, per noi, ad alto rischio. Trump aveva consegnato a Musk, il compito di rifondare la burocrazia federale americana, usando la spregiudicatezza che gli era unanimemente riconosciuta, con tagli radicali a dispetto del buon senso e del diritto, in cambio del suo supporto alle elezioni, misurato in quasi 300 milioni di dollari. Per lui, una posizione di vantaggio assoluto rispetto ai competitors, con la possibilità di nuovi affari. Singolare però il ruolo che gli era stato attribuito: una sorta di alchimia. Musk = SGE, acronimo che significa non-career Special Government Employee, vale a dire, consigliere senior del presidente, con contratto a termine (130 giorni) alle dirette dipendenze della Casa Bianca, non autorizzato a prendere decisioni in prima persona. Altro, dunque, rispetto a quello che è apparso. Il chiarimento era stato depositato in tribunale a metà febbraio e portava la firma di Joshua Fisher, direttore dell’Ufficio dell’Amministrazione della Casa Bianca.
Il DOGE, il Dipartimento per l’efficienza governativa, istituito di sana pianta da Trump, non dipendeva da Musk. Da chi, allora? Continuavano a fioccare i ricorsi per le sue maniere spicce che cancellavano posti di lavoro negli Stati Uniti e nelle sedi estere, per le aperte violazioni della privacy dei singoli e degli uffici, per il libero accesso alle banche dati e dunque ai dati sensibili, che mettono in pericolo la sicurezza. Quale, il destinatario? Non è dato sapere. L’attività è proseguita e ai ricorsi si sono aggiunti i malumori dei palazzi, i buchi nelle maglie della sicurezza, le ritrattazioni eclatanti, le proteste in piazza a difesa della democrazia, anche contro Trump, che in fatto di spregiudicatezza è un fuoriclasse. Perfino Musk è stato indotto a ripensarci, probabilmente, in cambio di altri favori. Il presidente, d’altra parte, aveva seguito una logica precisa, oltre al valore oggettivo della merce di scambio. Per i conti americani, la riduzione dei costi della macchina federale, affidata all’uomo più ricco del mondo, sarebbe stata una panacea, già che i costi gravano su un debito pari oramai al 120 % del Pil, raggiungendo la cifra spaventosa di 36 mila miliardi di dollari (in Italia, la cifra critica è di 3 mila miliardi). In più, cambiare gli ingranaggi di una macchina che comunque condiziona ogni presidente, a prescindere dallo spoilssystem di ogni Amministrazione, sarebbe stata nel suo gergo «una grande figata». A beneficio di Trump, si sarebbe inoltre aggiunto, senza mediazioni, l’apporto di un colossale sistema di controllo delle telecomunicazioni, con lo sguardo proiettato nelle esplorazioni spaziali; si sarebbe sommata la possibilità di seguire da vicino i processi di ricerca sull’Intelligenza Artificiale e sul connubio macchina/uomo, molto più avanzati di quanto non sia dato sapere ai comuni mortali. Fra altri immensi interessi, inoltre e soprattutto, ci sarebbe stata la fruizione diretta e immediata della pervasività dei social nelle mani di Musk, attraverso i quali ogni giorno si stanno rovesciando ovunque fake e notizie tendenziose.
Delega preziosa per entrambi, quella affidata da Trump a Musk, tuttavia diventata stucchevole e dannosa. Meglio un’uscita di scena morbida, accompagnata da ringraziamenti ed applausi. Entrambi non possono permettersi di perdere tempo, l’uno per il lavoro che ha cominciato e che vuole portare a termine, l’altro per i suoi affari che -diciamo - non stanno andando proprio bene.
Dinanzi al crollo delle Borse, al forte deprezzamento del dollaro e al rischio di una recessione, dopo l’annuncio senza precedenti dei dazi reciproci, giovedì scorso, potrebbe verificarsi uno shock, ma di segno contrario rispetto a quello immaginato dal presidente. Non una crisi che lo veda al comando di un nuovo ordine mondiale, come esibisce il suo super-ego e nei disegni che rendono conto a chi lo ha voluto alla Casa Bianca, a cominciare dalle potenti fondazioni americane di stampo ultraconservatore, a quanto pare, stanche di democrazia, ma un caos che potrebbe portare a reazioni scomposte dalle conseguenze imprevedibili.
Ci si augura che i governi, a cominciare da quelli europei, mantengano i nervi saldi in questo momento complesso, così come serve che accada a Bruxelles e a Francoforte. Intanto però, rileva il dato di quanto possano essere deleteri l’improvvisazione e il senso dell’effimero. Per difendere la democrazia occidentale, urge l’emancipazione dell’Europa, non più figlia del paternalismo, dell’incertezza e della difesa americana. Il percorso va imboccato, con tutte le garanzie che servono, senza ulteriori esitazioni o ipocrisie. Un nuovo soggetto politico, forte dei suoi valori e capace di tutelarli sulla scena mondiale, sarà l’interlocutore che da troppo tempo manca.
Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 7 aprile 2025