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Elezioni in Basilicata: occorre un segnale di discontinuità

"Necessario in una terra in povertà, spolpata come l’osso fragile di un pollo d’allevamento, ma ricchissima di risorse, di capitale umano e di opportunità, riporterebbe i cittadini alle urne"

In meno di due mesi il Mezzogiorno andrà per la terza volta alle urne: Sardegna, Abruzzo, ora è il turno della Basilicata. Sembra che il voto regionale non sia mai stato così importante sul termometro politico nazionale nel rapporto tra maggioranza e opposizione, come questa volta. Dopo il successo del centrosinistra in Sardegna, che ha dato il segnale di una partita aperta, la sconfitta in Abruzzo ha riportato la palla al centro: semplificando si è detto che forse si era ecceduto nell’ottimismo, eppure già si passa ad altro, non c’è tempo, tra circa quaranta giorni tocca ai lucani. Ogni territorio ha la sua storia e richiede il suo tempo, ci sono molti problemi comuni – soprattutto il diritto alla salute e al lavoro, diritti negati nel Sud trascurato – ma tutti esprimono lo stesso sentimento, già manifestato e che manifesteranno ancora attraverso l’astensione dal voto: il sentimento della sfiducia. Perché andare a votare, se le decisioni si prendono altrove, mentre a livello locale le promesse non diventano mai scelte e manca il rinnovamento politico, in un campo largo che avrebbe senso solo se lasciasse a casa i soliti boiardi, attingendo invece alla società? Il mondo gira in fretta, mentre nelle contrade meridionali, desolate e spopolato, la vita si trascina. In Sardegna, almeno, si è puntato su una donna, forte di un curriculum di prestigio, per la quale la scelta della politica era precedente e di sicuro responsabile; il candidato dell’Abruzzo, solido nella sua esperienza universitaria, è riuscito a limitare i danni della sconfitta, che si annunciava pesante e ha detto che si impegnerà per costruire le condizioni dell’alternanza -perché l’alternanza non si improvvisa- ma in Basilicata?

Sembra che nel lembo di quella che fu la Magna Grecia non riesca ad accadere. In una regione, guidata dal centrodestra, che in cinque anni ha dissipato i consensi, la solita politica locale di segno opposto, abituata a fare il bello e cattivo tempo per decenni, benché sconfitta al giro precedente, mentre si stava apparecchiando intorno ad un candidato, contiguo per interessi e mentalità, ha trovato i possibili alleati di area che hanno detto “No”. In una competizione che si gioca per coalizioni, un no che pesa. Dunque, caccia al candidato: girandola di nomi, senza squadra, senza programmi, un candidato magari gradito a quello costretto a farsi da parte, con l’avallo della corte che intanto gli si era fatta intorno. In una terra piccola, dove ci si   conosce tutti, il gioco delle tre carte però non funziona. Esponenti della società civile, come per esempio uno stimato professionista nel campo della sanità, pronto ad accettare la sfida, ci sono.  Rappresenterebbero quel segnale di discontinuità che in una terra in povertà, spolpata come l’osso fragile di un pollo d’allevamento, ma ricchissima di risorse, di capitale umano e di opportunità, riporterebbero i cittadini alle urne. Serve una scelta per il cambiamento sostenuta dal centro e condivisa dal territorio. Sarebbe questo il vero campo largo. Il cinquanta per cento degli elettori che rinuncia a votare, perché sfiduciato, potrebbe finalmente convincersi che il suo voto conta. Le proiezioni parlano chiaro: a prescindere dagli interessi, per vincere diventa prioritario ricostruire la fiducia. Reale e Virtuale oramai si confondono. Tutto ciò che si può fare, benché sul filo di lana, va fatto.

Carmen Lasorella

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